Mondi Possibili

Mondi Possibili

di Fulvio Forino

È l’incerto, il poco conosciuto a tenerci desti.

Tutto ciò che ci è noto è utile e rassicurante, ma è privo d’interesse. È l’incompletamente conosciuto a essere motivo d’interesse.

Inter – essere significa “stare tra” ed è interessante tutto ciò che si trova tra ciò che conosciamo e ciò che non conosciamo. È interessante tutto ciò che accende curiosità e desiderio di conoscere, tutto ciò che ci spinge all’esplorazione e ad andare oltre i confini del già noto, consapevoli di non poter sapere in partenza dove approderemo.

È questa consapevolezza, la consapevolezza della complessità e dell’impossibilità di una conoscenza completa e definitiva che ci fa avvertire l’incertezza che pervade la nostra vita e l’epoca in cui viviamo.

Il mondo da cui veniamo era rigido, lento, stabile, costellato di muri, barriere, confini. Abbiamo reso i confini permeabili.

Oggi tutto viaggia veloce e facilmente: merci, persone, cultura, idee, tecnologia, abitudini, filosofie. È inutile alzare i muri dell’identità nazionale, culturale, linguistica. È controproducente erigere barriere. È irrazionale difendere il made in Italy piuttosto di promuovere il made in Italy.

In quest’epoca di globalizzazione, in cui il centro è dovunque, è decisivo essere flessibili, dinamici, reattivi, aperti agli scambi e capaci d’integrarsi nelle reti mondiali del commercio, della scienza, della cultura, dell’arte, della tecnologia.

Ci troviamo immersi in un processo di cambiamento veloce e strutturale in cui tutto è provvisorio, liquido, instabile, flessibile. Viviamo immersi nella complessità. Abbiamo compreso che vivere non significa trovarsi nel paradiso del certo e del prevedibile. Al contrario, vuol dire avere a che fare con l’imprevisto, l’incerto, il contingente.

La realtà ci appare sfocata. È come se si fosse spenta la luce che illuminava le certezze che ieri ritenevamo stabili e che oggi si sono opacizzate. Per uscire dall’incertezza ci attacchiamo alla scienza, ma non ci sono equazioni per tenere sotto controllo il presente e tanto meno per prevedere il futuro.

Lo stesso sviluppo scientifico e tecnologico desta in noi perplessità fino ad apparirci come una minaccia per il futuro dell’intera umanità. È come se il mondo che ci siamo dati si stesse rivolgendo contro di noi. Ci rendiamo conto che quello che sta accadendo, inquinamento, cambiamento climatico, guerre, migrazioni, globalizzazione, crisi economiche, è frutto di scelte e decisioni che abbiamo preso nella convinzione di migliorare la nostra vita e il mondo che abbiamo ereditato dalle generazioni che ci hanno preceduto.

Parliamo poco di futuro. Ci manca il futuro perché l’abbiamo sempre immaginato a partire dal passato.

Prigionieri del passato non riusciamo a concepire un possibile futuro: il futuro dei giovani, quello della scuola, del welfare, della tecnologia, dell’economia, dell’intelligenza artificiale e così via.

Facciamo fatica a pensare al domani in termini di opportunità.

Per immaginare il possibile dobbiamo pensare all’impossibile. Il possibile è ciò che ha una qualche probabilità di riuscita ma che non sappiamo se si realizzerà o meno.

Per immaginare un mondo possibile e dei mondi possibili ci serve più capacità di pensare all’impossibile e meno realismo, meno buon senso.

Papa Giovanni XXIII non ha riparato il mondo di una Chiesa Cattolica invecchiata nell’immobilismo, l’ha reinventata, l’ha pensata come un nuovo mondo possibile, un mondo colmo di potenziali novità. Gli Illuministi non hanno tentato di migliorare con realismo e buon senso la società; la vollero riedificata del tutto diversa sulle rovine di un mondo ormai vecchio, stantio. Coloro che immaginarono la Riforma Sanitaria del 1978 non intendevano accomodare una Sanità figlia dell’ottocento, l’hanno reinventata in un modo che pochissimi pensavano possibile. Basaglia ha immaginato l’impossibile; chiudere i manicomi per aprire la psichiatria a una prospettiva innovativa, umanizzante prima inimmaginabile.

I giovani studenti che concepirono Google l’hanno realizzato ostinandosi in un’impresa ritenuta impossibile.

Salvo aggiustamenti particolari e limitati, la scuola è rimasta la stessa da tanti, troppi anni. Non si tratta di riparare il mondo della scuola. Ci vorrà tempo, ma per reinventarla dobbiamo rendere probabile un modo del tutto nuovo di concepirla.

La pandemia è stato un evento che pensavamo impossibile; ci ha rivelato l’esistenza dell’inatteso. Prima che scoppiasse nessuno immaginava che fosse possibile lavorare stando a casa o che sarebbe diventata un’abitudine generalizzata e del tutto normale quella di tenere eventi o conferenze online.

Pensare l’impossibile non è uno slogan accattivante, è un modo razionale di essere visionari capace di promuovere cambiamenti radicali. È la strada per concepire l’innovazione a tutto campo di mondi come la scuola, l’università, la sanità, il welfare, il lavoro immaginati come altrettanti mondi possibili in cui poter vivere, convivere, operare più fecondamente e più felicemente.

Nel mondo che ci siamo dati i giovani sono vittime e profeti. Il futuro è loro. Il loro problema non è la nostra incapacità di pensare al futuro, ma quello di riuscire a immaginare quale sia per loro un futuro desiderabile.

Dobbiamo augurarci che impegnino tutta la loro energia e tutto il loro impeto giovanile nel darsi un futuro figlio dell’impossibile.